Lina Passalacqua: il dinamismo visualizzato

14 aprile 1989

Originaria della Calabria, ma residente a Roma dal 1962 (dove ora è titolare di figura disegnata al liceo artistico di via Ripetta), Lina Passalacqua è arrivata ufficialmente alla pittura, sua passione primaria e incondizionata, nei primi anni Sessanta; aveva fatto teatro, e con notevole successo, lavorando per il Piccolo Teatro di Bolzano e lo Stabile di Catania, in ruoli di primo piano, accanto a Memo Benassi, Annibale Ninchi, Turi Ferro, Umberto Spadaro ed altri famosi attori. Ma l’arte dell’immagine può essere davvero, per dirla con Valery, vice impuni, che raffiora ostinatamente e domina su tutto. Del resto, i frutti di questo straordinario amore, si sono avuti, e di sicuro prestigio.

Lo ha sottolineato, nella limpida e fine premessa al catalogo della personale, Mario Verdone. Che, da esperto di riconosciuta autorità del futurismo, non ha mancato di richiamare la legittimità di certe ascendenze: ad esempio di Boccioni, di Balla, e ancor di più di Depero. Ma faremmo subito un torto alla bravissima artista, se non dichiarassimo il vitalismo autentico – un apriori che si rivela quindi tessuto di coscienza – del suo figurare.

E allora, non importa che si possa ravvisare in Inquietudine o in Frammenti nello spazio una congenialità genetica con la più alta stagione futurista, o nello splendido olio Schegge di memoria quella “sintesi plastica di cose o di fatti percepiti direttamente dall’occhio e trasposti dallo spirito” che il Maillard identifica nell’architettura pittorica légeriana. E tanto meno importa che in certi dipinti, insieme geometrici e compenetrati in cadenze di “simultaneità”, possa scorgersi qualche suggerimento di costruttivisti (o suprematisti) come Tatlin, Malevic o Lissizkij, o del “Non obiettivismo” di Rodchenko in positiva collusione con i ritmi, impropriamente detti neoplastici, di Mondrian e di Van Doesburg: qui, in Lina Passalacqua, la proiezione culturale è splendidamente verificata da un temperamento che non ammette dogmatismi di sorta.

A monte delle colorate orditure, del tutto astratte o ancora legate ad un’allusività realistica, speculativamente congegnate come Liberazione da una situazione non vitale, o musicalmente visionarie come La luna fa capolino fra i boschi di Cesano, c’è sempre la logica radicale dell’emozione. Come non sentire che Passalacqua è vocata e coinvolta senza riserve?

La sua eleganza e la sua forza si sposano così bene da superare ogni possibile contrasto fra il puntiglio filologico di una scrittura autonoma e l’urto irrazionale delle interne pulsioni. Gli aspetti compositivi lucidamente reinventati sulla reciprocità degli spazi-forma e delle partiture-luce, rivelano, a saperli leggere fuori degli schemi asettici del purovisibilismo, un fermento dialettico che riassume ed esalta motivazioni di pensiero e d’anima. La sensibilità di fondo non ha mai permesso a Lina Passalacqua di operare a freddo, anche se con aristocratica finitezza, fra i mille teoremi del cultismo: la sua identità sostanziale è, in definita, nel vero dinamico, nelle ipotesi di un pensiero che si espande dalla sua usura della norma ascoltando il tumulto del cuore.

È una vita, questa, che ha consentito all’artista di alimentare dal di dentro la propria maturazione estetica escludendo per convinta elezione il rischio di massificare idee ed impulsi. Certo, bisogna riconoscere che la conseguenza diretta della rinuncia al facile, all’accomodato, al provvisorio gratificante non può che essere il disagio. Lina Passalacqua avverte, in virtù di questo amaro privilegio, l’evidenza dell’effimero che caratterizza la via contemporanea: “Viviamo nell’epoca del flash – afferma durante un colloquio con Enzo Benedetto – e tutto appare frammentario … Sono impressionata dai flash, dalle schegge di vita che ci colpiscono continuamente. Vivo in una società fatta di flash, che rischia di perdere la memoria storica, e forse anche quella morale”.

Forse proprio per questo, come recupero di una spiritualità che resta vigile a dispetto della ragnatela distratta e meteorica delle occasioni troviamo in molti acrilici ed oli di Passalacqua, in armoniosa coesistenza con una visione novatrice, qualche inserto tardo rinascimentale, e non è per nulla gestualità accessoria del linguaggio, ma energia, appunto, etica, compendio di equilibrio e di sentimentale ricchezza.

È chiaro che una pittura così impostata (e si potrebbero aggiungere, naturalmente, i bassorilievi in legno di cirmolo o in pino di Russia) non è per chi abbia scarsa familiarità con l’espressione artistica moderna. Ma non potrà sfuggire ad alcuno, anche sulla scorta del solo buon gusto, che l’opera offerta al suo occhio è incardinata, senza dubbio, a vigorose radici psico intellettuali. E che Lina Passalacqua è, comunque, presenza significante.

dal libro Artisti del Novecento a Roma, pp. 275-276-277

Rendina Editori, settembre 2003, Roma