[Lina Passalacqua] predilige scansioni di forme di frastagliato geometrismo, che, dopo aver subito una forte attrazione per orchestrazioni tendenti all’aniconico, di qualche reminiscenza futurista, tanto che per alcuni aspetti si potrebbe parlare per lei di cubo futurismo (Bosco, 1972; Omaggio a Balla, 1973), ha cominciato a dare maggiore oggettivazione agli elementi delle sue composizioni (Frammenti, 1973; Ingranaggi, s.d.). le sue opere (…) prediligono l’esemplificazione centripeta degli elementi (Il salvadanaio è chiuso, 1983) al collage pittorico (Colpo d’occhio, 1988), dal crepitare visivo di lingue cromatiche (Il Verbo si è fatto carne, 1989) alle limpide esemplificazioni (Embrione, 1990), giù giù fino alle volute atmosferiche pregne di luce (Verso la libertà, 1995; Nel cosmo, 1996).

Se il bisogno di chiarezza spesso fa prediligere alla Passalacqua l’impaginazione caleidoscopica, quando l’empito della memoria o dell’emozione si fa più intenso, l’impianto strutturale delle scene si arricchisce sia spazialmente (La luna fa capolino fra i boschi, 1984; Volo di rondini, 1985; Frammenti nello spazio, 1987) che morfologicamente (Schegge di memoria, 1988; Autoritratto, 1991). L’immagine più definita ora s’avverte in filigrana (Mischia, 1989) ed ora invece s’introduce o fa capolino tra le rotture compositive (In principio era la Grande Dea?, 1982; Nozze d’argento, 1983, Trasformazione, 1984; Schegge di memoria, Colpo d’occhio, 1988, Autoritratto, 1991) quando non s’accampa sulla scena, com’è nella figura femminile a braccia aperte che salta in Liberati dalle pastoie: esisti del 1984, a ribadimento di una mai sopita attenzione per l’iconismo veristico, a cui infatti in varie riprese ella si dedica in tecniche miste su carta e in ritratti a carboncino o a matite colorate.

da Storia dell’Arte Italiana del ‘900 – Generazione anni Trenta, pp. 563-564

Edizioni Bora s. n. c., Bologna, dicembre 2000